Marettimo Residence

QUANDO ULISSE APPRODÒ A MARETTIMO

Che Marettimo sia una isola di insolita bellezza va da sé, e non ci insisterò più di tanto. Selvatica e rocciosa, nel corso dei millenni è riuscita a raccogliere solo un paesino incantato e qualche turista. Marettimo è una di quelle isole che, magicamente, non consistono nella loro terra, ma nel loro mare, un mare straordinario che in pochi chilometri di costa esibisce una quantità incredibile di grotte magiche a pelo d’acqua, di fondali pesciosi da fare invidia alle Maldive, di spiaggette da spot pubblicitario. Come se non bastasse, i marettimari non si curano di tutto ciò, come nel 1870 quando ci fù la gran moda di allora (Roma all’Italia) e elevarono l’unico monumento dell’isola non all’Unità ma a un santo, per una pesca miracolosa. Erano difatti grandi pescatori e quando furono costretti all’emigrazione fondarono una colonia diventata famosa in California, a Monterey. Oggi trovano quasi tutti più comodo occuparsi dei turisti.
Queste rocce hanno 200 milioni di anni, ma si staccarono dalla Sicilia appena 600mila anni fa. Ci sono piante che si trovano qui e non altrove. In questi mari i Romani affrontarono per la prima volta i Cartaginesi sull’acqua, nel 410 a.C., e li vinsero con la semplice e geniale invenzione dei rostri. Allo storico piace soprattutto pensare a quest’isola – punta estrema della Sicilia, quindi dell’Italia e dell’Europa – come l’affacciarsi al balcone di una conquista conclusa da parte di tanti popoli: i Romani, certo, poi i Vandali, i Goti e gli Ostrogoti, via via fino alla modernità cugina degli Aragonesi.
Popoli duri che, come si usava in passato, vedevano nelle isole appunto luoghi di isolamento, perfetti come avamposti e prigionie crudeli. Una delle più crudeli ch’io sappia fu quella che i Borboni, molli e feroci, inflissero a Guglielmo Pepe. C’è, sulla punta estrema dell’isola, un castello fatato e inespugnabile, dotato di una cisterna d’acqua in caso di assedio. Svuotata la cisterna, l’antro divenne la più tremenda delle prigioni, dove Pepe venne rinchiuso per anni, al buio, finché venne estratto verde e con la pelle attaccata alle ossa.
Ma la storia più fascinosa che riguarda Marettimo è quella di un inglese moderno e di qualche antico greco. Samuel Butler era tutt’altro che uno stupido. Era nato a Langar-cum-Barnstone, (Nottingham) e, destinato dal padre alla carriera ecclesiastica, studiò a Cambrige. Annoiato dalla vita che gli avevano scelto, fuggì in Nuova Zelanda, dove divenne allevatore. La sua opera più famosa rimane Erewhon (1872), racconto ambiantato in un immaginario paese che ricorda, e ridicolizza, l’Inghilterra bigotta e devota al dio denaro del suo tempo. Fu un maestro amato da scrittori inglesi suoi contemporanei e successivi, da Wilde fino a Joyce. Butler, che morì poco oltre un secolo fa, scoprì Marettimo, e il resoconto del suo primo viaggio venne pubblicato dal periodico Il Lambruschini di Trapani: vi si dimostra che anticamente era un’isola fortificata, cinta da mura, ma nessuno finora ha effettuato una seria campagna di scavi che potrebbe dimostrare l’esistenza di antiche civiltà. Il bello, però, deve ancor venire. Butler, studioso profondo della storia, della lingua e della mitologia greca, dette per certo che – problema ancora dibattuto – Iliade e Odissea non sono dello stesso autore. Di più: come altri studiosi individuò Trapani e il Mediterraneo occidentale come luogo di svolgimento dell’Odissea. Non è il solo, verità. Alla stessa conclusione sono arrivati anche altri studiosi, come Robert Graves, che insiste in particolare sulla funzione antifenicia dell’opera pseudo-omerica, Butler spinge la sua analisi fino a specificare che proprio Marettimo era Itaca, che i Ciclopi si trovavano a Erice, e che il vero autore dell’Odissea fu una donna, una principessa trapanese, Nausica, probabilmente figlia del re Alcinoo di Scheria: gli indizi storico – geografici – antropologici che Butler individua sono numerosissimi, troppi per indicarli qui, ma abbastanza per venire voglia di leggere una recente ristampa del suo saggio L’autrice dell’Odissea (Edizioni dell’Altana). E’ un argomento di cui pochi studiosi (perlopiù anglosassoni) si occupano. Butler, sperando di accendere qualche passione fra i trapanesi, donò il manoscritto della sua opera alla biblioteca di Trapani, ma la cultura della città ha avuto a lungo a che fare con Proci moderni. Chissà che, in questo centenario dimenticato, non possa cambiare qualcosa. Se no, pazienza, Marettimo rimarrà lì, per chissà quanti anni, a fare l’isola che c’è solo per chi c’è. di Giordano Bruno Guerri Il Giornale | Giovedì 8 Agosto 2002
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